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The ToneBender file - pt. I: Introduzione e premesse Featured

Ognuno ha le proprie fisse. Ognuno, soprattutto, ha le fisse che si merita.

Io da anni ho la fissa del Colorsound Tonebender. Una fissa che ha portato nel tempo a studiarne i dettagli, a cercare di imparare e analizzare quante più cose possibile relativamente a questo strumento. Storia, circuito, componenti, opinioni, qualsiasi cosa potesse aiutarmi a capire.

Il risultato di questa ricerca saranno una serie di articoli, i ToneBender file, in cui ho cercato di riassumere al meglio le informazioni che ho raccolto negli anni e il frutto del mio studio. 

Ogni file sarà dedicato a un argomento specifico. Non avranno cadenze regolari. Il (poco) tempo libero decreterà le pubblicazioni.

Questo primo capitolo è dedicato alle premesse... perché prima di iniziare è meglio mettere dei punti fermi su questa fantastica storia che inizia nel retro di negozio di Charing Cross Road a Londra a inizio anni sessanta o forse qualche mese prima negli Stati Uniti in uno studio di registrazione. O forse no, forse è nato su un foglio di carta di un laboratorio, dalla penna di un ingegnere che stava immaginando quel circuito per tutt'altra applicazione.

La storia dei ToneBender e dei fuzz in generale e di come hanno rivoluzionato il modo di fare musica, diventando l'arma con cui una nuova generazione di musicisti ha cambiato la scena e creato nuovi suoni.

Per iniziare però è necessario considerare che al tempo la produzione e la disponibilità di strumenti e materie prime era molto differente da oggi. Non c'era tutta l'offerta odierna e la possibilità di accedere come oggi ai produttori ed ai magazzini di tutto il mondo. Al tempo il mercato era molto più ristretto e spesso si doveva fare di necessità virtù. La conseguenza era quella di avere una produzione molto inconsistente, fatta alla bisogna ed adattando di volta in volta il circuito a ciò che c'era disponibile. L'obbiettivo era produrre in modo economico e senza perdere troppo tempo. Non è disponibile un certo componente di un certo valore? Se ne usa uno vicino... e chi s'è visto s'è visto. Non ci sono diodi? Usiamo un transistor guasto. Ti è arrivata una partita di transistor troppo mosci o troppo carichi? Chissenefrega, li si usa. Componente esaurito? Avanti un altro gemello o simile. Hai fatto delle prove per un prototipo che però non vedrà la luce? Via dentro una qualsiasi enclosure disponibile. Così si faceva al tempo. 

Mike Matthews (fondatore di Electro Harmonix) in una intervista disse di essere colpito da quelli che cercano di spiegare come una particolare versione dei suoi pedali dovesse suonare rispetto a un'altra, in quanto lui stesso non è in grado di dire oggettivamente quali siano le caratteristiche dei pedali che ha prodotto. Ha ammesso di aver cambiato il circuito infinite volte in funzione di quello che aveva a disposizione, senza mai farsi troppi problemi di coscienza. 

Anthony e Steve Macari, figli dei fondatori del Macari's music exchange e in seguito di SolaSound, durante gli anni duemila hanno cercato di trovare "il vero" suono dei pedali creati dai genitori. Si sono scontrati con oltre una trentina di varianti e di particolarità all'interno di pedali esteriormente simili. Hanno trovato una pletora di suoni diversi e particolari. Per arrivare ai pedali da usare come prototipo su cui basare le proprie creazioni (o, meglio, ricreazioni) hanno dovuto fare un enorme shootout: due pedali alla volta, uno veniva mantenuto e quello che a loro avviso suonava peggio veniva scartato. In seguito quella pletora di opzioni e varianti ha dato il via a quella che è la produzione a marchio Colorsound attuale, che propone continue varianti e particolarità in piccoli batch di produzione.

Questi sono esempi importanti di come andasse la produzione al tempo e per rendere chiaro un concetto fondamentale: è poco sano cercare di stereotipizzare il suono di un particolare pedale del tempo, soprattutto rispetto a un altro, perché tra cosiddetti gemelli potevano esserci enormi differenze. Esteriormente potevano sembrare uguali, ma all'interno potevano apparire completamente diversi o suonare in modo completamente diverso. Prendete con le pinze le descrizioni e i confronti tra un pedale e l'altro di questo periodo, anche da chi ne possiede delle copie: sta parlando anche in quel caso dei singoli pezzi che ha potuto provare. Un fratello esteriormente uguale a quelli da lui/lei usati suonerà sicuramente diverso. 

Un altro esempio lampante? Il cardine su cui si basa il suono di J Mascis è un Big Muff totalmente sballato, creato con dei componenti dimensionati in modo diverso da quello che avrebbe dovuto essere... un unicum che non può essere considerato 'il prototipo' del tipico Big Muff.

Gilmour stesso ha comprato diversi Big Muff nel tempo. Taylor, il suo tecnico, al tempo reperì 6 Big Muff per il buon David, con lo scopo di avere un backup del pedale principale. Tutti suonavano diverso uno all'altro e nessuno poteva essere veramente considerato come backup. Non solo avevanuo suoni diversi, ma nemmeno tutti suonavano bene a detta di Gilmour! 

Si produceva in modo totalmente inconsistente al tempo, e così è stato almeno fino alla fine degli anni settanta, quando i giapponesi hanno invaso il mercato imponendo una serie di cose. Alcune poco sensate, altre invece hanno migliorato decisamente la qualità di produzione. Tra queste l'imporre una maggiore ripetitività e standardizzazione dei pedali ha sicuramente generato un miglioramento degli strumenti a disposizione dei musicisti. Prima non era così. 

Quindi, quando sentite discorsi del tipo "il xy è più morbido rispetto a yt, che invece ha più gain e meno definizione", prendeteli con le pinze quando si tratta di pedali (o strumenti musicali in generale) prodotti prima degli anni ottanta. Se poi si inizia a parlare di transistor al germanio, la variabilità esplode (sarà argomento di uno dei prossimi file).

I circuiti quindi considerateli sempre come un 'riferimento', o meglio 'di norma dovrebbe essere così'. Non considerateli mai come oro colato o come vangelo. 

A questo c'è da aggiungere un elemento importante: la qualità dei componenti odierna è totalmente diversa da quella del tempo. Il suono che ha fatto la storia si basa su componenti scadenti, che a livello qualitativo difficilmente oggi potrebbero passare i controlli. Al tempo era normale usare componenti con tolleranza anche superiore al +-20% rispetto al valore indicato (nel caso dei condensatori poteva arrivare al 50). Avere una così forte variabilità portava ad avere strumenti che potevano cambiare completamente da un pezzo all'altro.

Sui circuiti è importante fare una precisazione. Stabilire chi sia il creatore o l'inventore di un particolare circuito è una pratica non semplice e spesso con pochi valori pratici. Molti si arrogano la paternità di un circuito, glissando sul fatto di essersi 'ispirati' a dei circuiti di riferimento. Copiare idee altrui e circuiti altrui era abbastanza uso comune ed era visto in maniera totalmente diversa rispetto a oggi. 

I creatori di transistor e di valvole al tempo pubblicavano dei libri con dei circuiti pronti per specifiche applicazioni. L'obbiettivo di questi libri era molto semplice: dare applicazioni ai proprio prodotti e quindi venderne il maggior numero possibile. In questi libri c'erano diversi esempi di circuiti di amplificazione. Ecco, sarà una speculazione mia ma potrei scommettere che la stragrande maggioranza dei circuiti proposti al tempo siano figli di quei libri, copiati pedissequamente oppure creati mescolandone due diversi o al limite cambiando alcuni valori. Decidere se il risultato di questo è l'invenzione di un circuito o una copia. Per fare un esempio, il circuito del Tweed Deluxe di Fender è praticamente identico a uno disponibile su un libro di RCA. Il JTM45 di Marshall è il Fender Bassman (anche quello creato a partire dai manuali RCA) con un paio di adattamenti. Dick Denney per il Treble Bass Boost che aveva creato per i suoi AC30 ha copiato il circuito del tono dal Fender Twin. Chi in questo caso ne è il designer e l'inventore?

I fuzz sono figli di questo periodo e quindi spesso non è semplice ricostruire e a mio avviso ha poco senso. Prendendo spunto da una delle mie tante fonti, la mia scelta in questo caso è stata quella di citare chi risulta essere il realizzatore del circuito usato nel pedale, senza per questo dire che ne sia l'ideatore e senza attestarne l'invenzione. La provenienza di certi circuiti a volte è semplicemente ricostruibile, a volte è una mera speculazione senza possibilità di avere una risposta definitiva. Dopotutto oramai sono passati oltre una sessantina di anni, e chiedere ai superstiti dettagli su fatti avvenuti al tempo può dare risultati contradditori, sempre che siano ancora in vita (per esempio una voce importante in tutto questo come Dick Denney non è più tra noi). In tutto questo la vanità e l'egocentrismo dei singoli ha un ruolo nel gioco (Gary Hurst si è preso per primo un ruolo di pedal designer, anche quando il suo ruolo potrebbe essere discusso o discutibile). Prendetelo quindi come un "lui ha avuto un ruolo e ha proposto quel circuito per quel pedale".

Questo discorso è importante, soprattutto perché si va a innestare con l'inconsistenza dei circuiti descritta prima: l'obbiettivo era quello di proporre strumenti rispondendo velocemente alla domanda (altrimenti si rischiava di perdere il cliente) e al minor costo possibile. Creare un circuito ex novo avrebbe potuto significare mesi di ricerca e sviluppo. Nessuno aveva davvero tempo per farlo e i costi avrebbero potuto esplodere oltre l'accettabile. Meglio lasciare ad altri il reinventare la ruota. Il rischio? Di fare la fine del Fender Blender, ovvero un circuito unico e diverso da ogni fuzz, arrivato sul mercato però troppo tardi, quando l'epopea del fuzz era oramai passata.

Con queste premesse possiamo iniziare il nostro viaggio alla scoperta del ToneBender.

 

Nota: 

L'immagine di copertina di questo articolo è presa da guitarplayer.com: https://www.guitarplayer.com/gear/the-sola-sound-tone-bender-and-the-early-evolution-of-the-fuzz-pedal 


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